Molte volte ho pensato di scrivere della mia esperienza greca.
Vivo ad Atene da più di otto mesi:
Non tanto da considerarmi ateniese ma abbastanza per non sentirmi più un turista, e su Atene e la Grecia ne avrei di cose da dire.
Cose belle, cose brutte, tanto vissuto personale condito da una buona dose d'esperienze che potrebbero essere utili a chiunque volesse venire qui.
Cose che avrei scritto e scriverei.
Che forse un giorno scriverò.
Ma non in questi giorni dove, di punto in bianco, siamo stati catapultati nel preludio di un romanzo di Hemingway:
L'incombenza del Corona Virus, la pandemia mentale prima ancor che fisica, le minacce turche sul fronte orientale, i terremoti, l'immigrazione usata come arma e gestita Dio solo sa come dalle forze greche, la mancanza di posti letto negli ospedali, l'isolamento forzato in solitudine, lo smartworking, l'ansia per la famiglia e per gli amici in Italia mentre nella mia Lombardia i morti si contano a migliaia.
Con questa sanguinaria primavera che incombe, mi ritrovo ad ascoltare Schubert e leggere Murakami facendo il cosplayer dell'intellettuale che non sono (e che per compensare abusa pure di Steam, Retroarch e Pornhub), il tutto fra un corso di JavaScript e l'altro, in attesa che mi spediscano il Mac per iniziare a lavorare da casa questo lunedì sperando in uno straccio di stipendio per il prossimo Aprile.
Dalla Grecia ora non si può uscire
Mi dico mentalmente, in un impeto di claustrofobia.
Che poi non sarebbe nemmeno tale, essendo io semmai agorafobico e hikikomori latente.
Ma forse lo ero nel mondo di prima, quello che ormai ci siamo lasciati alle spalle.