Confessione
Lo ammetto: ancor prima di iniziarlo, mi stavo preparando psicologicamente a scriverne male.
Dopo l'incredibile hype iniziale, tutta la polemica riguardo lo stile grafico (che non mi entusiasmava) ma soprattutto la sovrabbondanza di immagini e trailer negli ultimi mesi mi aveva fatto un po'perdere interesse, come se tutta l'enorme bolla derivata dal Ron Gilbert torna su Monkey Island dopo 30 anni fosse improvvisamente esplosa dopo troppe chiacchere e tanta attesa...
nemmeno troppa, mi rendo conto, ma nel 2022 fatto di social, comunicazioni istantanee e ritmi indiavolati, tutto invecchia molto velocemente.
In più c'erano un po' delle perplessità personali che derivano da quanto descriverò nei prossimi paragrafi.
Celeste Nostalgia ♩ ♪ ♫ ♬
Qualche anno fa, come riporta il bellissimo sito Lucasdelirium, Ron Gilbert scrisse questo commento sul suo blog:
Mi piace provare cose nuove, esplorare. Fare e rifare lo stesso gioco, come molti vogliono che faccia, è noioso. Se facessi un nuovo punta & clicca, la gente direbbe che non è all'altezza di Monkey Island. Ma non si starebbero realmente lamentando di quello, si lamenterebbero in realtà perché non sarebbe all'altezza della loro nostalgia ventennale di Monkey Island. Non posso competere con una cosa del genere, nessuno può.
Non posso competere con una cosa del genere, nessuno può.
Questo è il punto centrale da considerare, un elemento che interessa quasi tutti gli artisti capaci di creare opere monumentali di cui in un certo senso poi finiscono prigionieri:
George Lucas con la trilogia dei prequel di Star Wars, i Metallica post-Black Album, Kentaro Miura dopo l'Eclissi di Berserk...se ci pensate, gli esempi si sprecano.
Con Monkey Island la faccenda è ulteriormente complicata perché parliamo di una saga che, dopo Ron Gilbert, ha vissuto di vita propria tra vari alti e bassi:
Per esempio, The Curse of Monkey Island (che chi vi scrive non ha mai amato) rappresentò una pietra miliare delle Avventure Grafiche pur condividendo molto poco di ciò che i primi due leggendari capitoli di Ron Gilbert avevano donato al genere, specialmente per design, tipo di humor e alcuni aspetti vagamente dark che lo stile Gilbertiano è in grado di far riaffiorare pur con tutto lo humor assurdo del mondo.
Non per niente, la storia è piena di imitatori di quello stile più o meno demenziale che però non hanno superato la prova del tempo. Monkey Island invece sì, proprio perché non è parodia scema e buffa di una storia di pirati (o almeno, non solo).
Tutto questo per dire quanto tutti noi dovremmo tenere conto delle difficoltà che tornare sulla saga dopo tanti anni ha certamente comportato.
Detto ciò, vorrei però spezzare diverse lance a favore dei critici (ovviamente quelli seri e pacati, non i pazzi che insultano o minacciano), discorso che parzialmente ho affrontato parlando anche dei famigerati nostalgia-fag:
Gilbert era perfettamente consapevole di quello a cui sarebbe andato incontro realizzando Return.
Del resto, giusto qualche anno fa realizzò egli stesso una sorta di (ottima) operazione nostalgia con l'ottimo Thimbleweed Park.
Questo significa che la scelta grafica e l'approccio generale avuto con Return non potevano non aver messo in conto tutto il vespaio che sarebbe andato a generarsi e, pur amandolo, ammetto che alcune dichiarazioni di Ron non mi sono piaciute molto.
La grafica
Personalmente, lo stile di Rex Crowle non mi aveva affatto convinto dai trailer (soprattutto per le animazioni) e questo non significa che io pretendessi pixel art o gusto retrò, ma magari un ritorno di Steve Purcell un pochino sì.
Però devo dire che giocando, la mia diffidenza si è esaurita abbastanza presto: vedere Melee Island risentendo il meraviglioso theme di Michael Land mi ha scaldato il cuore e fatto sentire subito dentro Monkey Island: è stato come ritornare in un luogo dove hai passato le vacanze da bambino, ritrovando tanti vecchi amici.
La magia
La scrittura di Ron Gilbert è sempre meravigliosa, il gameplay è comodo ed essenziale (tutto via mouse e compatibilissimo con controller: perfettamente funzionale per un'avventura grafica moderna), il finale di Monkey Island 2 non è stato bellamente ignorato come sarebbe stato certamente più semplice fare, la nostalgia c'è ma non manca l'ironia che ci affonda dentro i propri cannibalissimi denti.
Dicevo all'inizio che mi stavo mentalmente preparando a scrivere un post negativo, e invece in nemmeno due ore ero già innamorato, correndo in giro con il caro vecchio Guybrush alla ricerca di oggetti improbabili per risolvere splendidi enigmi.
Vecchio e Nuovo
Credo sia la prima volta che mi capita di vedere qualcosa di così squistamente nostalgico unito ad un'opera veramente nuova:
qui per intenderci non vale il discorso del buon Pillars of Eternity, non c'è un mero scimmiottamento (pun intended) dei classici, c'è un nuovo metro di paragone per le moderne Avventure Grafiche, un gioco concepito tenendo a mente i classici enigmi tanto quanto una perfetta performance e la compatibilità con sistemi come la Nintendo Switch o altre console.
Return of Monkey Island è un terzo capitolo perfetto proprio perché non ha fatto la scelta "facile" sedendosi sui vecchi SCUMM e grafiche retrò come sarebbe stato in suo pieno diritto.
Il finale (no spoiler)
Non saprei dire se mi è piaciuto, lo confesso: di sicuro non mi ha deluso e per molti aspetti un po' me l'aspettavo: è un sapore dolceamaro e consapevole di esserlo, per tanti motivi per me stretto parente di quello di Thimbleweed Park.
Aveva ragione Gilbert
Alla fine, mi sono ritrovato nella situazione di cui ciarlavo con l'adattamento Netflix di Sandman: quella famosa autorialità che non ti dà quello che vorresti, ma quello che nemmeno tu sai di volere.
Commenti
Al solito, se volete dire quanto un roditore potrebbe rodere il legno o individuare scimmie a tre teste, ci si becca su telegram oppure sulla recensione steam